Le origini del Ducato di Benevento risalgono al 570 o 571 quando Zottone, al comando di una schiera di Longobardi, conquistò la città e si fece riconoscere duca. Come questi uomini fossero giunti a Benevento dal Nord è un mistero, così come non si sa quanti fossero. Paolo Diacono, nella sua “Historia Langobardorum”, parla solo di Zottone come primo duca rimasto al potere per venti anni, ma non fornisce notizie dettagliate su tale periodo. Lo stesso nome “Zottone”, nella storia longobarda, appare per la prima e unica volta. Qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che Zottone e i suoi uomini non appartenessero alla schiera dei Longobardi scesi in Italia con Alboino, ma facessero parte dei mercenari assoldati da Narsete nella guerra gotica e che, al momento del rimpatrio forzato voluto da Narsete per la loro indocilità, fossero sfuggiti al controllo restando in Campania e cercando uno spazio vitale. Tale ipotesi porta a ritenere la nascita del Ducato Beneventano indipendente dal progetto di Alboino. A rafforzare questa ipotesi contribuisce anche l’impresa poi fallita di Autari, re di Pavia, che scende a Benevento per conquistare ed assoggettare il ducato. Zottone, uomo dal temperamento violento, avido di potere e avverso ad ogni culto, aveva scelto Benevento per la sua posizione strategica che rendeva facili le comunicazioni con il resto della Campania e con la Puglia e rendeva possibile una facile difesa contro i Bizantini. Dopo aver conquistato il Sannio, fece di Benevento la capitale del nuovo stato che in vent’anni di governo ampliò con successive conquiste nell’Italia meridionale. Alla sua morte nel 591, Agilufo, nuovo re di Pavia, nominò come successore non un erede del duca beneventano o un capo locale, ma un nobile longobardo di Cividale del Friuli, Arechi I. Con tale nomina voleva stabilire il principio di sovranità del re di Pavia su tutti i duchi. Arechi I, governò per cinquant’anni durante i quali consolidò l’indipendenza del ducato di Benevento, conquistò buona parte del Mezzogiorno d’Italia, tentò più volte di conquistare Napoli ma poi vi rinunciò e occupò Salerno per disporre di un forte porto in Campania. Alla sua morte, nel 641 i Beneventani nominarono autonomamente come loro nuovo duca, senza alcun intervento da parte del re, il figlio di Arechi, Aione che, però, ebbe breve regno perché nel 642 fu ucciso durante una spedizione contro invasori slavi provenienti dalla Dalmazia e approdati a Siponto; gli successe il fratello adottivo Rodoaldo (642) il quale, quasi sicuramente, non partecipò nel 643 all’assemblea dei Duchi convocata da Rotari a Pavia per far approvare il suo Editto, manifestando, con tale assenza, il rifiuto dell’autorità regia e l’indipendenza politica del proprio Ducato. Il suo governo durò cinque anni. Nel 647 gli successe il fratello Grimoaldo I che governò per quindici anni. Quando a Pavia morì il re Ariberto, il regno venne diviso in due parti e affidato ai suoi due figli, Godeberto (cui toccò la sede di Pavia) e Pertarito (che ebbe Milano). Tra i due fratelli nacquero forti rivalità e discordie per cui Godeberto inviò Garibaldo, duca di Torino, a Benevento da Grimoaldo per invitarlo ad andare in suo soccorso. L’ambasciatore, invece, esortò Grimoaldo a disfarsi dei due contendenti e ad impadronirsi del Regno dei Longobardi. Il duca beneventano accettò e, dopo aver affidato il proprio ducato al figlio Romualdo I, partì per Pavia dove uccise Godeberto, costrinse Pertarito alla fuga e si impossessò del regno riunendo sotto il suo scettro tutti i possedimenti longobardi compreso il ducato di Benevento, diventando nello stesso tempo duca di Benevento e re di Pavia (anche se il ducato era retto dal figlio Romualdo I). Intanto l’imperatore di Bisanzio, Costante II, aveva assediato Benevento nel tentativo di conquistarla. Romualdo, allora, inviò alla corte di Pavia, presso il padre Grimoaldo, il precettore Sessualdo per chiedere soccorso. Compiuta la missione, sulla strada del ritorno Sessualdo fu fatto prigioniero e costretto dall’imperatore a dare ai Beneventani la falsa notizia del mancato arrivo dei Longobardi di Pavia, pena la morte. Sessualdo rifiutò e i Bizantini lo decapitarono e la testa la lanciarono oltre le mura, ai Beneventani, con una catapulta,. Si racconta che Romualdo, commosso, abbia posto sul capo del suo fedele, la corona ducale. Dopo aver aiutato Benevento a resistere all’assedio, Grimoaldo fu costretto a tornare a Pavia per domare alcune rivolte interne. Regnò fino al 671 quando morì, forse avvelenato Nel 671 cessò l’unione al regno del Ducato di Benevento che riacquistò la sua autonomia e proseguì nella sua indipendenza politica. Durante l’assedio di Benevento da parte dei Bizantini avvenne la conversione dei Longobardi al Cristianesimo per opera del vescovo S. Barbato. Il Duca Romoaldo Costui aveva stretto un patto con il duca Romualdola Chiesa avrebbe chiesto e ottenutol’intercessione divina per scacciare gli invasori in cambio della conversione e della rinuncia ai riti pagani.:Quando i Bizantini furono sconfitti, Romuoldo mantenne la promessa e il vescovo Barbato fece sradicare l’albero detto “noce di Benevento” intorno al quale i Longobardi si riunivano e praticavano riti in onore di Odino - Wotan. Con il sostegno di Teodorata, moglie di Romualdo, il vescovo Barbato provvide all’eliminazione di un altro culto sopravvissuto a quello dell’albero: il culto della vipera d’oro. Dopo il breve dominio di Grimoaldo II (dal 687 al 689 ) sotto Gisulfo il ducato si estese nel Lazio meridionale e nell’Abruzzo e raggiunse, con Romoaldo II,la sua maggiore estensione territoriale. . Ormai il ducato costituiva un vero e proprio stato in grado di coniare una propria moneta, il “solidus aureus beneventanus”, considerata una moneta privilegiata per gli scambi commerciali anche al di fuori dello stato longobardo.Alla morte di Romoaldo i Beneventani elessero duca Audelais con l’intento di rendersi completamente autonomi dai re longobardi ma Liutprando, re di Pavia, scese a Benevento, depose Audelais e nominò duca della città suo nipote Gregorio che governò per sette anni. Alla morte di questi lo spirito di autonomia dei Beneventani tornò a farsi sentire e, in aperta ribellione contro il re di Pavia, elessero duca il nobile Godescalco che, però, poco dopo fu ucciso dagli stessi cittadini che lo avevano acclamato. Gli successe Gisulfo II, figlio di Romoaldo II; dei suoi nove anni di regno si conosce soprattutto lo zelo religioso verso la Chiesa alla quale elargì privilegi e donazioni rafforzandone il potere temporale iniziato da Liutprando con la donazione al Papa del castello di Sutri. Quando nel 751 Gisulfo morì era già iniziata, per suo volere, la costruzione di una Chiesa posta all’estremo limite della città accanto al sacro palazzo ducale (Piano di Corte): la Chiesa di S. Sofia. Gli successe il figlio Liutprando che tentò di riprendere la politica di autonomia, ma nel 758 fu assalito e catturato da Desiderio, re di Pavia, ad Otranto. Desiderio poi, giunto a Benevento convocò nella città l’assemblea dei nobili e del popolo, fece dichiarare decaduto dal trono Liutprando e nominò duca Arechi II che volle unire a sè anche con i vincoli della parentela dandogli in moglie la figlia Adelperga, sorella di Ermengarda moglie di Carlo Magno, e di Adelchi l’altro figlio di Desiderio, celebrato dal Manzoni nell’omonima tragedia. Arechi II fu l’ultimo duca di Benevento.
Arechi II, pur legato a Desiderio da vincoli di parentela, non rinunziò all’indipendenza del ducato, (infatti continuò la politica di penetrazione nella Campania conquistando alcune terre del Nolano) e si mantenne estraneo alla sanguinosa lotta tra il suocero Desiderio e il Papa nel 774, lotta che provocò il crollo del regno longobardo d’Italia. Si salvò solo il ducato di Benevento che Arechi II rafforzò elevandolo al rango di principato; infatti al titolo di duca aggiunse quello di principe autoproclamandosi “dux et princeps Samnitium et Langobardorum”, si fece consacrare dai vescovi, cinse la corona e nei sui atti pubblici ordinò che si aggiungesse questa formula “scritto nel nostro sacratissimo palazzo”. Inoltre adottò un nuovo cerimoniale di corte ispirandosi al modello bizantino pieno di inchini e formule in ossequio al principe; impose ai sudditi il taglio corto della barba sacrificando così l’ornamento più caratteristico della sua gente; fece coniare monete d’oro con il suo nome e titolo. Il principato, succedendo allo scomparso regno come il più alto organismo politico dei Longobardi , fu detto “Langobardia minor” e Benevento fu chiamata la seconda Pavia “Ticinum Geminum”. Diventò così l’unica patria autenticamente longobarda in grado di accogliere gli esuli della Langobardia Maggiore. Arechi II è passato alla storia con il nome di “alter conditor urbis”, il secondo fondatore della città poiché il primo fu Diomede. Questo appellativo gli fu dato per la grande attività edilizia che promosse a Benevento. Infatti volle rinnovare il tessuto urbano della capitale del suo regno incentivando la costruzione di nuove opere architettoniche. Fece erigere una nuova cinta muraria per inglobare un nuovo quartiere chiamato “civitas nova” (l’attuale rione Triggio) sorto lungo la via Appia. Nello spazio detto Piano di Corte, l’antico “Plenum curiae ”dove già esisteva il palazzo ducale, fece costruire la sua residenza chiamata “sacrum palatium” (oggi scomparso) e l’arricchì di affreschi, mosaici, sete, gemme e oggetti preziosi. Portò a compimento nel 762 la chiesa di Santa Sofia, fondata da Gisulfo II con l’annesso monastero benedettino di cui fu prima badessa Gariperga, sorella di Arechi. In ambito culturale favorì lo sviluppo di una scuola di corte, la “Schola Palatina”, che ebbe come maestro Paolo Diacono precettore della principessa Adelperga. Vera mania di Arechi fu la ricerca e l’acquisizione di reliquie di santi per garantire una tutela spirituale alla dinastia e alla città. Era una mentalità diffusa in tutti i sovrani di origine barbara: il contatto con le reliquie di un santo, oltre a rafforzare la fede, trasferiva nei fedeli le stesse qualità dell’uomo al quale erano appartenute. Il 15 maggio del 760 Arechi trasferì in Santa Sofia i resti dei dodici fratelli Martiri africani martirizzati in Italia mediante decapitazione e introdusse il loro culto in tutto il principato. Il 26 agosto del 768 trasferì, sempre in Santa Sofia, le spoglie di San Mercurio, uno dei più grandi santi militari di Bisanzio, e lo nominò patrono della corte, della chiesa di Santa Sofia, della città e del popolo longobardo.
Due nobili longobardi di una miniaturea del X sec. Uno di essi non ha più la barba.
Arechi II morì a Salerno il 21 agosto 787 e gli successe il figlio Grimoaldo III, che respinse ogni tentativo dei Franchi di estendersi nell’Italia centrale. Dopo di lui fu eletto Grimoaldo IV che, però, fu ucciso dopo pochi mesi. Il successore, Sicone, mosse guerra ai Napoletani e, dopo avere vinto, pretese e ottenne la restituzione delle reliquie del beneventano S.Gennaro, primo vescovo della città. Il suo governo durò 16 anni. Gli successe il figlio Sicardo che morì ucciso da una congiura nell’839; seguirono due mesi di anarchia che segnarono la iniziale frantumazione dello stato unitario longobardo: a Benevento fu nominato principe Radelchi I tesoriere di Sicardo, Salerno si costituì in principato autonomo con a capo Siconolfo fratello di Sicardo, Capua, con il suo gastaldo Landolfo, si proclamò autonoma e anche Amalfi si sottrasse al principato. Ne seguì una lotta fratricida tra Benevento e Salerno, che si concluse nell’849 con la celebre “Divisio ducatus”, imposta da Ludovico II re franco d’Italia, con la quale si sanciva la secessione del ducato di Salerno dal principato di Benevento. Nella spartizione del territorio a Benevento restavano le terre più interne, montuose e povere mentre l’area pianeggiante e aperta verso il Tirreno veniva ceduta a Salerno. Benevento, priva di sbocchi sul mare, entrò allora in una grave crisi politica ed economica che si manifestò con l’abbandono della coniazione della moneta d’oro locale, il solidus beneventano. Alla morte di Radelchi I successe alla guida del principato beneventano il figlio Radelgario che morì dopo appena due anni di regno. Gli successe il fratello Adelchi che cercò invano di ridare unità allo Stato longobardo ma fu ucciso da una congiura ordita dai suoi stessi collaboratori. Dopo i brevi principati di Gaiderio e di Radelchi II, si impadronìdel potere Aione II che cercò di riportare il Principato ai fasti di un tempo. Quando morì lasciò come erede al trono il figlio Orso di appena 10 anni che fu spodestato dai Bizantini i quali, dopo un assedio durato tre mesi, nell’891 conquistarono Benevento. Seguirono diversi anni di lotte al termine dei quali, nel gennaio del 900, prese il potere Atenolfo, conte di Capua, che unificò il Principato di Benevento con la contea di Capua. Iniziò così il potere dei Principi capuani su Benevento. Successivamente furono principi di Benevento Landolfo I, Landolfo II, Pandolfo I più noto come Capodiferro. Quest’ultimo, dopo aver ottenuto il ducato di Spoleto, il marchesato di Camerino e il principato di Salerno, unificò il vecchio Principato ricostituendo la Longobardia minore. Durante il suo governo il papa Giovanni XIII elesse la chiesa beneventana in Arcivescovado. Tuttavia fu proprio Pandolfo Capodiferro a smembrare di nuovo il principato in quanto alla sua morte, per sua volontà, Salerno rimase al figlio Pandolfo e Benevento e Capua passarono al primogenito Landolfo IV il quale, però, nello stesso anno fu spodestato dal cugino Pandolfo II. Ha inizio così l’ultima fase del principato beneventano, durante la quale, staccatasi definitivamente Capua, i principi furono tutti della dinastia di Pandolfo II, i “capuanites”. Dopo la morte di Pandolfo II regnarono Landolfo V e Pandolfo III. Quest’ultimo associatosi al proprio figlio Landolfo VI, volle recuperare la dignità e l’autonomia del potere politico sottraendosi agli atti di vassallaggio. Nel 1047, infatti, chiuse le porte di Benevento in faccia al papa Clemente II e nel 1050 all’imperatore Enrico III. Il Papa reagì scomunicando principi e cittadini, l’imperatore distribuendo il territorio del Principato ai Normanni. Anche il nuovo papa Leone IX ribadì la scomunica. A questo punto i Beneventani insorsero contro i principi, Pandolfo III e Landolfo VI li cacciarono dalla città e offrirono la propria sudditanza al Papa chiedendo l’assoluzione e l’aiuto contro i Normanni. Alla morte del pontefice Leone IX (nel 1054), non sentendosi sicuri per la presenza dei normanni, i Beneventani richiamarono i principi esiliati i quali dovettero dichiararsi vassalli della Santa Sede e giurare di lasciare ad essa, alla loro morte, il pieno dominio della città. Pandolfo III morì nel 1059, Landolfo VI nel 1077. Questa data segna la fine del glorioso Principato beneventano e l’inizio del dominio temporale dei Papi della città con i Rettori Pontifici, dominio che durerà fino all’unità d’Italia.